Donne Migranti. Ne parla Scanderbeg Parma

Quando si parla di donne si parla dell’universo nell’insieme. Con le sue meraviglie, i suoi colori, i suoi profumi. Si parla della bellezza e la forza che occorre a rimane tali, spesso quest’ultima indispensabile perché la bellezza non diventi mai un aggettivo riduttivo bensì il binomio perfetto dell’essere donna: Coraggio, determinazione, regalità.
Ieri al convegno Donne Migranti organizzato dall’associazione Scanderbeg Parma in collaborazione con l’univesità degli studi di Parma e la rivista Confronti, sotto la guida di Vojsava Tahiraj, mediatrice culturale nonché ideatrice e organizzatrice dell’evento per l’associazione Scanderbeg si è parlato della donna nel suo insieme, con le sue infinite sfaccettature, la sua sensibilità e visione acuta della realtà che la vive prendendo spunto dalla condizione della donna albanese migrante riportata anche nel libro ricerca Donne d’Albania.
Per l’occasione hanno presieduto il convegno tenutosi nella splendida aula dei Filosofi nella sede centrale dell’Università di Parma anche i due autori del libro, il sociologo Rando Devole e il direttore della rivista Confronti, Claudio Paravati, rivista che ha anche pubblicato e promosso sin dall’embrione la ricerca e il tentativo di inizializzazione della conoscenza della donna albanese. Ad approfondire con ulteriori analisi in merito all’essere donna e la sua condizione da migrante l’università di Parma è stata rappresentata dalla professoressa Vincenza Pellegrino, sempre in prima fila affianco alle donne e all’educazione della società alla conoscenza come metodo per abbattere le barriere che vedono contrapporsi i maschi contro le femmine e purtroppo anche le femmine tra di loro per compiacere ad un mondo di maschi.

“La donna migrante, – spiega nel suo intervento prof.ssa Pellegrino,- si trova in conflitto molte più volte: con tenere fede alle sue origini, usi e costumi, con cercare di fondersi con la cultura del Paese dove si trova migrante, nel cercare di prendere le distanze da altre donne con le quali condividono il Paese di provenienza, ed infine nel cercare di rimanere fedele a se stessa: donna, non un numero che rientra nel calcolo statistico della percentuale migranti in un dato Paese. Le donne, – ha continuato Pellegrino, – trovano nell’associazionismo il loro equilibrio, la loro dimensione. Una dimensione che può essere segno di realizzazione del proprio io, quindi si offrono alla comunità perché si sentono ricche, serene e pronte a dare il loro contributo, oppure perché nei conflitti che le affliggono e le mettono alla prova costantemente non sono riuscite a farcela, e allora “l’unione fa la forza”, si sentono meno sole in compagnia di altre donne simili a loro ma ugualmente irrealizzate. Questo perché l’universo della donna non può essere compreso a colpi di legislazioni, ma studiato, approfondito ed apprezzato per la sua complessità”

Prendendo spunto proprio dalla riflessione della Pellegrino, Rando Devole ha spiegato come l’auspicio che lui insieme a Paravati, coautore del libro Donne d’Albania, presentano sia quello di portare l’uomo non solo a non essere rivale, ma bensì alleato e addirittura promotore della dignità della donna. Nel libro, – continua, abbiamo dato spazio anche agli uomini proprio per far sapere alle donne che noi ci siamo. Andiamo educati, ma ci siamo e dobbiamo sempre essere in simbiosi con la nostra metà in questo mondo, l’irrinunciabile donna. Per questo quando Vojsava ci ha proposto di essere parte dei relatori in questo convegno dedicato alle donne non abbiamo fatto altro che attendere che si confermasse la data.”

“Le donne, – ha continuato nel suo intervento il direttore Paravati, – hanno bisogno di essere ascoltate ed è per questo che nel viaggio che abbiamo fatto insieme a Rando abbiamo offerto un microfono alle loro voci. Perché ci dicessero le loro emozioni, perché ci aiutassero a spiegarle ai nostri lettori. Abbiamo notato come le donne dell’Albania le troviamo nelle donne italiane e viceversa. E questo è sintomo di come qualsivoglia sia la provenienza della donna, essa è soprattutto donna e come tale le sue emozioni, la sua caparbietà, la sua determinazione, la sua fragilità la troveremo in tutte. Noi dobbiamo imparare ad insegnare ai nostri figli di fermarsi davanti all’essere donna soprattutto”

E proprio di cosa significa essere donna migrante, senza la pretesa di rappresentarle tutte perché ogni donna ha un’universo intimo che la vive in solitudine, Vojsava Tahiraj ha interpellato la giornalista Adela Kolea, la quale nel libro riporta la ricchezza delle sue origini miste italo/albanesi.
“Io, -spiega Kolea, – non ho avuto il travaglio che altre donne albanesi hanno dovuto affrontare ed altre continuano ad affrontare come quello delle lunghe fila davanti ai cancelli degli uffici immigrazione. Ho ereditato la ricchezza di avere una nonna italiana la quale mi trasmise la cittadinanza quasi immediatamente giunti in Italia dopo la caduta del regime comunista. Ma proprio per queste mie origini ritengo che il viaggiare, come fece mio nonno quando da giovane venne a studiare in Italia dove conobbe mia nonna e con un altro viaggio la porto con sé in Albania facendola sentire a casa, sia la chiave di un’evoluzione di culture. Una donna ha la facoltà di affrontare qualsiasi viaggio con visione positivistica, io mi ritengo un frutto di questo viaggiare”

Le donne però migrano da sempre. L’ultima grande migrazione delle donne albanesi risale alle cronache negli anni ’90 nelle coste italiane. Da queste donne sono nate altre donne, la cosiddetta seconda generazione, che vivono conflitti diversi, tra sentirsi italiane o albanesi, tra scegliere uno o l’altro Paese come rappresentante, che subiscono discriminazioni per le loro origini pur essendo da sempre o quasi sempre vissute in Italia, che temono di non rispettare abbastanza i loro genitori se non parlano e non si sentono albanesi, e temono di non apparire mai abbastanza italiane davanti ai loro amici. Donne che crescendo trovano un equilibrio ed una spiegazione alle loro domande. Che oggi lavorano e si istruiscono sicché il loro posto e le loro emozioni non siano percepiti un problema. Donne, come Marjeta Ceka, giovane studentessa di giurisprudenza di origini albanesi all’università di Parma interpellata da Vojsava Tahiraj come il frutto della migrazione delle donne d’Albania.
Nel suo intervento Ceka ha toccato temi come parità di diritti, integrazione, studio/lavoro, discriminazione e sessismo, e proprio su questo, in linea con i studi di giurisprudenza, si è soffermata sulla Costituzione italiana e quella albanese.
“Le considero, – ha detto, – due costituzioni molto ben fatte. Ma di certo scritte ed interpretate al maschile. In nessuna delle due si parla della figura umana, quindi l’insieme, uomini, donne e terzo sesso, ma si definisce l’essere umano “uomo”, così facendo si inculca inconsapevolmente la discriminazione ed il sessismo.”

I ringraziamenti da parte dell’assessora Nicoletta Paci e la Console Generale d’Albania a Milano Anita Pojani, per il lavoro continuo svolto da parte dell’associazione sono stati seguiti anche dalla promessa di incentivare il lavoro dei volontari a continuare a parlare dell’Albania nel suo insieme.
“Realtà come quella di Scanderbeg, – ha detto Paci, – sono il fiore all’occhiello di una società che cambia in meglio”
“Attività di questo calibro, – ha sottolineato Pojani, – saranno sempre da me promosse, perché sono una donna che ha il peso di essere donna e Console d’Albania, di dover dare risposte a migliaia di altre donne, un peso che solo una donna può comprendere e può portare con entusiasmo”

Il convegno organizzato dall’associazione Scanderbeg Parma venerdì scorso è stato un incontro decisamente molto più ricco di quanto possiamo riportare in un articolo di cronaca. La presenza di un pubblico variegato, tra adulti, più adulti e giovani, tra studenti e lavoratori, tra donne e tanti uomini che hanno riempito e seguito con interesse tutti gli interventi dimostra come la donna sia la figura centrale della società, da sempre anche all’interno dell’associazione albanese.

 

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