Quando le donne si raccontano…

Avete presente quelle sensazioni improvvise che ti prendono allo stomaco e sai, anche se non conosci il perché, che vanno seguite.

E’ stato proprio cosi anche quello del sabato scorso a Parma, che ha visto l’associazione albanese “Scanderbeg” dare vita ad una idea durata 2 anni in meno di 48 ore.

“Le donne albanesi si raccontano”

Una saletta piena di anime, uomini,- tanti,- e giovani ed adulte donne. Con la presenza della testata giornalistica di riferimento per gli albanesi in Italia e per gli italiani che vogliono conoscere l’Albania, Albanian News, nella veste di Sonila Alushi. Grintosa, determinata, preparata giovane donna albanese, residente a Bergamo, mamma di due splendidi figli, nonché una attivista per l’integrazione e le pari opportunità.

Donne e ragazze riunite in cerchio, che tra le rime, hanno raccontato le loro esperienze dal viaggio verso Lamerica alla vita condotta in Italia, tra diffidenze, paure, domande inopportune e tante occasioni perse perché straniere. E poi le conquiste, le amicizie, gli amori, la passione per la Terra che le ha adottate. Rime di profondi e contrastanti sentimenti che hanno commosso i presenti, di gran numero italiani, che si approcciavano alla conoscenze della donna albanese.

Un confronto di opinioni e di esperienze che si è presentato come una finestra alla conoscenza di un mondo che condividono tutte le donne ma in culture diverse. Perché, integrazione, non significa solo non lasciare le persone morire sui barconi od offrirli un piatto di pasta. Integrazione significa conoscenza, e questa va alimentata con la curiosità, con la volontà e le possibilità di apprendere la cultura dell’altro.

Il dibattito si è spostato anche sulle differenze tra le donne albanesi e quelle italiane. Si sono trovate delle pecche, come l’idea di una donna casalinga e dedita solo ai figli, ma anche delle conquiste, che però le sono da sempre riconosciute, come essere delle donne tenaci, determinate e combattive.

Su questo filo del confronto ha seguito anche l’inno alla neo dottoressa Biancalaura Perlini, innamorata della cultura dell’Aquila bicipite al punto di onorarla con la sua tesi in specialistica riguardo al matrimonio albanese. Un analisi che ha visto attraversare la storia dell’istituto del matrimonio albanese a partire dall’antico codice Kanun ai giorni d’oggi. Una tesi di altissimo valore, premiata dalla commissione universitaria con il massimo dei voti. Sull’analisi si trova il nome di Biancalaura Perlini, ma gli organizzatori e gli amici albanesi sembrano provare, forse, più emozioni della stessa neo dottoressa per il riconoscimento, la ricerca ed il lavoro svolto nel diffondere la cultura albanese.

“Nel conoscere la vostra cultura,- ha spiegato Perlini,- ho imparato ad amare di più la mia. Non perché sia migliore ma perché voi avete l’ideale della vostra ed è qualcosa che colpisce ed insegna a come amare la propria. Le donne albanesi, – ha continuato,- sono notoriamente riconosciute come tenaci, forti, autoritarie in Albania. E cosi lo è davvero. Siete un popolo aperto, ospitale, caloroso ma nel contempo diffidente. Ed è stato proprio questo tratto “negativo” che mi ha portato a voler capirne di più”

Già, forti e tenaci come Sonila Alushi, che non si è di certo fermata all’opinione comune della donna albanese in quanto casalinga, che si è sempre fatta rispettare per le sue idee ed il suo lavoro. Che anni dietro, non ha risparmiato le parole neanche al “Papi” Berlusconi quando, nelle sue uscite ufficiali da Presidente del Consiglio vestiva i panni del comico ed ha ridicolizzato, offeso e sottovalutato la donna dell’Aquila. Allora, Alushi difense l’onore, la rispettabilità, l’integrazione della donna l’abanese davanti alle telecamere di “Servizo Pubblico” in onda sulla Rai, oggi invece sarà la rappresentante d’eccellenza di una storia tra delusioni e conquiste di una immigrata albanese per un nuovo documentario che andrà in onda presto su Rai Tre.

Una commossa Sonila Alushi, ringrazia l’associazione albanese “Scanderbeg” per l’iniziativa di far conoscere il valore della donna albanese e ringrazia tutti gli italiani presenti che hanno affollato la sala dell’evento. “Perché, – dice,- dobbiamo esseri fieri – non orgogliosi – della nostra storia. Di ciò che le nostre madri ci hanno insegnato e dobbiamo aprire le porte a finché ci conoscano”

Una serata di emozioni, si direbbe tipiche delle donne, ma che ha visto protagonisti attivi di domande, di spunti su cui ragionare con i partecipanti, gli stessi uomini. Una risposta all’opinione comune fondata sulla non conoscenza. Idee formate sul piano estetico e risicate per la diffidenza dello straniero.

Un passo verso l’amalgamarsi della cultura italiana e quella albanese.

Amalgamarsi, appunto, perché per quanto vicini i due Paesi, per quanto la storia li abbia trovato parte attiva nel contempo, per quanto gli albanesi amino l’Italia, l’Albania è una cultura diversa. Non deve fondersi con quella italiana, non deve assomigliare, non deve nascondersi dietro il bisogno di essere accettati. La donna albanese, come quella nigeriana, peruviana, come tutte le donne di questo mondo,è frutto della sua cultura, di sua madre, delle sue usanze. Spesso incomprensibili per l’opinione italiana e difficilmente promosse. Ma, tutto dipende dalla conoscenza che si ha della cultura altrui. Tutto dipende da quanta curiosità, volontà e possibilità riusciranno le donne di oggi a trasferire ai propri figli perché altre donne domani non si trovino a dover far scoprire la loro cultura a piccoli passi. Perché non si nascondano. Perché vengano amate e sopratutto rispettate in egual modo.

***

La serata è continuata con una visibilmente emozionata dott.ssa Perlini, che si è vista premiata con un certificato di riconoscimento al valore della sua opera anche dall’Associazione nazionale albanese “çameria”, per il suo contributo al diffondere della cultura albanese, non solo grazie alla tesi, ma anche al suo video documento che racconta il dolore del popolo çamuriota.http://www.albanianews.it/cultura/storia/1228-cameria

Presidente, l’Italia ha bisogno di italiani!

Il 14 gennaio scorso Giorgio Napolitano si è dimesso dal Presidente della Repubblica Italiana.

Dopo i saluti di rito ed i festeggiamenti al suo quartiere di residenza Monti, nel panorama politico italiano è partita la caccia al nuovo profilo presidenziale.

In oltre 150 anni di Repubblica d’Italia non si era mai vista tanta energia e coinvolgimento dell’opinione pubblica per l’elezione del Capo dello Stato, che dal 2013 appassiona e mette in evidenza le diverse sfumature della convivenza in parlamento. Infatti, i vari protagonisti delle correnti in opposizione si trovano a scoprire le carte all’elettorato ed ammettere come la consultazione, la convergenza e gli accordi su certi passaggi istituzionali siano doverosi anche se appaiono in contraddizione con la fede politica dei propri militanti.

Come ben si nota la tensione è alle stelle. Tra maggioranza ed opposizioni sembrano combaciare del tutto i disegni sul come dovrà essere il nuovo inquilino del Colle tranne che sui nomi da proporre alla camera dei deputati.

Le figure proposte fino ad ora infatti servono a testare l’equilibrio del parlamento ed individuare, al quarto scrutinio- da quanto previsto da Renzi-, la personalità che andrà ad occupare la massima carica dello Stato.

Gli inquilini del Montecitorio indicano come requisito indispensabile l’essere super partes del nuovo Capo dello Stato. Vorrebbero tutti una figura equilibrata ed equidistante, fedele ai dettati della Costituzione ma, “Non di Sinistra”. E’ questo il veto imposto dall’immortale Berlusconi che ritorna in pista immancabilmente ogniqualvolta si ritiene “smacchiato”.

L’analisi dei personaggi politici e/o di spettacolo come Magalli che vengono presentati in corsa al Colle, appare più un contentino da dare alle maggiori forze politiche parlamentari che la necessità di individuare una figura che rappresenti al meglio l’intero popolo italiano.

Prendendo spunto dalla passione per questo prossimo avvenimento che vede coinvolgere come mai prima i cittadini italiani, tralascio l’indicazione di un nome e propongo uno dei requisiti, a mio avviso, indispensabili che debba avere il nuovo Presidente della Repubblica d’Italia.

Qualità, che in tutta questa frenetica “collaborazione” fra le forze politiche (due!) non trova spazio neanche nelle più misere descrizioni del profilo che debba avere La carica più alta dello Stato.

Visto mai che venga accolto!

Vorrei un Presidente che sappia valorizzare lo Stato. Che pretenda da tutte le istituzioni, non solo nazionali ma anche nei piccoli comuni delle province italiane, di onorare l’appartenenza a questo Stivale. Di eseguire alla lettera i dettati della Costituzione e che trasmettano l’entusiasmo, la consapevolezza, il rispetto, la virtù di essere italiani.

Vorrei un Presidente che ci insegni ad essere fieri di appartenere a questa realtà.

Non mi importa quante cariche ha rivestito nella sua carriera politica, DEVE portare la società a sentirsi parte attiva nella storia, arte e cultura multiculturale – da sempre – italiana.

Presidente, svegli negli animi degli italiani la curiosità di conoscerla, e renda possibile che vengano messi in condizione di amarla.

Le vongole di Salvini ed i suoi fratelli profughi.

Non occorre essere conoscitori impeccabili dei politici italiani per essere a conoscenza delle idee di Matteo Salvini, il Segretario del partito Lega Nord. Chiunque abbia semplicemente giocato con il telecomando della propria televisione, tra un canale ed altro, si sarà obbligatoriamente imbattuto con l’immagine di Salvini ed avrà sentito ciò che lui, da oramai due anni, predica durante le sue presenze.

Bene, non ultima, ma sicuramente degna della nostalgica trasmissione “La sai l’ultima?”, è la sua contrarietà per la decisione della Commissione dell’Unione Europea riguardante il limite di misura per una vongola perché possa essere pescata.

vongole

Secondo l’UE infatti, una vongola non potrà essere pescata se misura meno di 2,5 centimetri. La decisione viene spiegata perché, raggiunta tale misura massima il mollusco si può definire adulto e già riprodotto. Pescandolo più giovane invece, significherebbe alzare il rischio di vederne sempre meno nei nostri mari. Questo è chiaramente un limite che vedrà impegnarsi i pescatori italiani ad una attentissima vigilanza sul pescato. In caso di disattesa della norma, la Commissione ha previsto delle pene penali e pecuniarie fino a 4 mila euro.

Va detto però, che il limite di misura imposto dall’UE è largamente restrittivo sicché le vongole raggiungono la riproduzione già a misura di 2 centimetri. Altri Paesi, come la Turchia, non facenti parte della Unione Europea, ma che godono degli accordi di libero scambio, portano al nostro mercato molluschi anche di 1.7 cm. Questa norma era collocata nel sistema normativo italiano già negli anni ’60 ed è stata ripresa con lungimiranza dall’Unione Europea. Italia aveva anche previsto una tolleranza del 10% sulla pezzatura (classificazione secondo misure stabilite) della vongola. Cosi, questa ricchezza poteva essere pescata anche di soli 2.3 centimetri.

”La goccia che ha fatto traboccare il vaso, – spiega la Federcooppesca, – è il Regolamento comunitario dei controlli che ha intensificato l’azione delle forze dell’ordine creando cosi problemi alle imprese che devono pagare costi salati anche a fronte di quantitativi minimi di pescato sotto taglia del tutto accidentali” (fonte Ansa). Cosi, Salvini e Lega Nord hanno fatto loro la battaglia di migliaia di pescatori.

Alla luce di tutto questo trambusto – legittimo – vien da domandare al segretario della Lega Nord, dove si trovava prima che questa norma ITALIANA venisse ripresa dall’Unione Europea? Sono oramai cinquant’anni che i pescatori dei nostri mari ne erano a conoscenza. E da quanto si evince dalle dichiarazioni fatte all’agenzia Ansa da parte della Federcooppesca, il timore dei pescatori è concentrato più sui controlli previsti dalla norma europea che sulla salvaguardia della nostra acquacoltura.

Pare chiaro che, per coerenza con la sostenibilità della natura e la valorizzazione dei prodotti offerti ai cittadini, la battaglia andrebbe semmai svolta verso altri obiettivi ossia, quello di incentivare il consumo dei prodotti europei garantiti nella qualità grazie ai serrati controlli e senza rischi per le generazioni future di trovarsi con mari svuotati da questi molluschi.

Ma non saremo neanche a parlare di Salvini se le sue battaglie offrissero prospettive di lungo periodo di crescita e di garanzie.

PADA

Il Segretario infatti, è noto ai più, per essere un bravissimo scavalcatone. Le onde che riesce a prendere sono minacciose, discontinue, inaffrontabili con una semplice tavola da surf ma, lui riesce a farsi sostenere da migliaia e migliaia di persone stesi a schiena in giù al mare, concedendo a Salvini di stuzzicare le loro pance. Lui parla anche di sicurezza, di immigrazione e di NON integrazione. Riesce con naturalezza inserire in quest’ordine e nella stessa frase, tre fenomeni diversi tra di loro e che se sviluppati nel modo corretto nessuno dipenderebbe dall’altro. Lui sfugge alle sue responsabilità e grida al ladro alla solo vista del colore della pelle, della provenienza non comunitaria, – eccezion fatta per i romeni ed i rom,- e chiede con forza la definizione dei confini nazionali.

Dimentica, – probabilmente dovuta ad una malattia rara, perché l’età giovanissima non può giustificare tale mancanza,- che i confini in Europa esistono e sono difesi da tutti gli stati membri dell’UE. Lui scavalca (vedi sù) l’onda del terrorismo, quello della massa dei profughi che scappano dalle loro terre per salvaguardare la vita propria e dei figli. Urla allo scandalo dei 30 euro per ogni rifugiato, –meno adesso che la mafia capitale ha messo inevidenza i veri criminali.– Accusa i migliaia di mussulmani in Italia di essere molto probabilmente degli sgozzatori e mette nella stessa casseruola di brodo lercio, i milioni di immigrati che producono ricchezza allo stato italiano per ben 11% di PIL, con quella minima e fisiologica parte di criminali.

francia-150108145601

Li andrebbe forse ricordato che la baby pensionata, Lady Bossi, non potrebbe vedersi stanziata la pensione senza il contributo degli immigrati. Li andrebbe anche ricordato che, Trotta e fratello, con il loro QI e/o preparazione professionale, non sarebbero andati da nessuna parte se non fosse stato per 4 milioni di cui vengono processati per appropriazione indebita ai danni dallo Stato.

Beh, Stato signor Salvini sono anche gli immigrati che contribuiscono giornalmente a mantenerlo sano.

E’ forse, necessario ricordarli Belsito od il suo amato Umberto insieme alla ristrutturazione della casa a spese dei contribuenti?

E per rimanere in tema immigrazione, e soprattutto quella degli ultimi anni, bisognerebbe battere i pugni di memoria di come quei Stati, da dove fuggono terrorizzati i profughi, siano stati colpiti, armati, distrutti politicamente ed alimentati di odio proprio dalle politiche degli stati occidentali in espansione ed insaziabili di ricchezza. Oppure, l’autodefinito “difensore delle radici cristiane europee” crede davvero che le colonizzazioni da noi fatte non abbiamo lasciato segni in quei luoghi? Realmente lei ritiene di pulirsi la coscienza –  come la sua adorata Le Pen, (dichiarazione di ieri a “Dì martedì”, LA7), dicendo ,ebbene, i tunisini ed amici hanno combattuto per la libertà contro le occupazioni, adesso se la tenessero fuori dai cog..ni ops, confini?

E c’è una cosa su tutte che non riesco a spiegarmi: Come fa a chiamare fratelli i profughi che scappano, appunto da situazioni dramatiche, e nel contempo urlare con forza e pretenziosità al terrorismo proveniente da quei posti? Mette nella stessa frase amore e odio. Prima fa il buono, -come se una luce la avesse illuminata,- e subito dopo carica gli animi degli italiani di odio e disprezzo. Facendo passare dei sopravvissuti, nullatenenti, disperati, cristiani e mussulmani come degli invasori feroci. Come soggetti dotati di machiavelliche menti che per conquistare e sottomettere l’Europa, hanno persino bruciato le loro terre, attraversato mari per settimane, rischiato di vedere morire i propri figli, e tutto questo, collaborando con lo stesso occidente che li ha forniti i viveri della guerra.

Al partito ed ai tifosi di Lega Nord, sono serviti più di trent’anni per riconoscere uno delle fondamentali voci della Costituzione Italiana:

L’Italia è unica ed indivisibile. Altre tanto ci hanno messo per  accorgersi che l’attuale norma europea, sul limite massimo della pezzatura delle vongole, faceva parte del sistema normativo italiano da più di cinquant’anni e da lì ha preso ispirazione.

Sono dovuti passare per vilipendi, napoletani puzzolenti, il sud criminale, la Roma ladrona, terroni feci, e ultima Vaffa.. alla Corte Costituzionale.

10420101_10152699219403155_6681857606868963419_n

Siamo certi che sia questo modo di comunicare, terrorizzare, offendere, rubare quel che si chiama, al servizio dello Stato?

Charlie Hebdo. “Islam si dissoci”! Da cosa? … e quel silenzio che non aiuta…

Da più esponenti politici ed anche di primo piano del mondo cattolico viene chiesto alla comunità mussulmana di dissociarsi dai terribili fatti accaduti il 7 gennaio scorso a Parigi. Nel cuore dell’Europa democratica e libera hanno perso la vita dodici innocenti, dodici cari che muoiono massacrati per mano di criminali, infedeli che giustificano le loro azioni in nome di un Dio che appartiene a milioni di altri che con questi fatti non hanno nulla a che fare.

Dissociarsi significa aver prima fatto parte di un gruppo, di un credo, aver condiviso gli ideali e gli obiettivi. Dissociarsi vuol dire non voler più fare parte di quel gruppo, di quel credo, di non condividere più gli ideali e gli obiettivi.

Mi chiedo allora:  Perché invece di chiedere alla comunità mussulmana di dissociarsi non le viene offerta la solidarietà per come quei terroristi hanno tentato di rappresentarla usando il nome di Allah? Siamo sicuri che le vittime durante quei attentati siano solo i dodici cittadini innocenti francesi? Siamo certi che quella violenza non abbia ferito anche l’intera comunità mussulmana che ogni giorno convive in collaborazione e condivisione dei principi di civiltà, libertà e democrazia?

Vedo una scena surreale: I credenti mussulmani che si sistemano alla finestra osservando il campo da calcio dove altri hanno dato vita ad una competizione tra fedi e mettono in discussione la  civiltà. Una partita giocata da chi crede che la sua fede sia moderata e giusta contro gli ultras dell’altra fede.Estremisti in rappresentanza di un credo che appartiene ad altri milioni in giro per il mondo ma che rimangono in attesa che l’arbitro –  il pubblico – comprenda che non è una partita alla pari. Che non si possono mettere in concorrenza di lealtà, di principio di libertà, civiltà e pace due fedi che insieme ripudiano la violenza e predicano in egual misura il rispetto per il prossimo. Ma, ciò che più stupisce è che a rappresentare sul campo da gioco la fede mussulmana sono stati chiamati dai cosi autoproclamati “difensori dell’Europa cristiana” gli estremisti, i terroristi, gli infedeli che usano il nome di Allah ma che non rispecchiano in alcun modo i fedeli dell’Islam.

Chiedo alla comunità islamica moderata, – dichiara Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana – di dissociarsi da quei atti del 7 gennaio scorso”

“L’islam non è una religione come tutte le altre.” – rafforza il pensiero l’illuminato Salvini, presidente del partito Lega Nord – “Nei pianerottoli di casa nostra cè sempre un mussulmano pronto a sgozzarci” – conclude terrorizzando i cittadini ed accusando di crimini inenarrabili l’intera comunità mussulmana sostenuto dal silenzio di quest’ultima.

E’ ovvio però, che in tempi di una comunicazione spicciola, fatta di frasi d’effetto e senza proposte costruttive e risolutive, se la comunità mussulmana rimane in silenzio lasciando che venga fatto il confronto estremisti (islam) ed Europa  è inutile che dopo si stupisca se la accusano di giocare sporco. Aggrappata, forse, alla speranza che il pubblico – europeo/italiano – impari a conoscere il suo credo, questa comunità non si sta facendo un favore e non lo sta facendo neanche all’Europa.

L’Islam è molto lontano dalla cultura europea, è lontano per storia e geografia. E’ un mondo che richiede impegno, approfondimento e comprensione. Non è il contrario di ciò che l’Europa è ma è sconosciuto e spesso mal interpretato. Perciò, occorrerebbe che chi pratica la fede e chi si è dedicato ad andare oltre le frasi fatte si avvicini al popolo ed esprima la posizione dei mussulmani.

Chi conosce il Corano sa bene che la religione mussulmana è basata sul principio della pace. Che il ripudio della violenza è uno dei suoi punti cardine. Eppure, in troppi hanno colto con “entusiasmo” i fatti del 7 gennaio scorso e si sono lanciati alla caccia al voto scagliando appelli ed accuse, più o meno velate, dando cosi un’immagine dei fedeli della religione mussulmana come prossimi sgozzini.

La comunità mussulmana dovrebbe smetterla di stare in silenzio, di voler lasciar il tempo a dare le risposte. Dovrebbe attivarsi per farsi conoscere ed aprire le porte al mondo. Le televisioni, i giornali e socialnetworks sono zeppi di personaggi che la giudicano, la accusano ed invitano altri a prendere le distanze da loro. Ritenere di non dover immischiarsi con questo modo di comunicazione non la renderà più amata agli occhi di Dio, non la renderà superiore agli estremisti politici che nella passività comunicativa dei mussulmani vedono l’assenso delle loro accuse.

Ma voi no, voi…

Vi cucite le bocche e lasciate che altri vi lancino accuse di terrorismo e di alimentare odio dietro a dei richiami che non servono ad altro se non a dare un’immagine di voi come dei criminali. Come se, il difendere il proprio credo sia di per sé un crimine. Come se, pretendere il rispetto per la vostra anima religiosa macchi le vostre mani del sangue degli innocenti di Parigi.

Avete già espresso il vostro dolore per le famiglie delle vittime. Avete dato la vostra solidarietà totale alla Francia ed ai suoi cittadini cresciuti nel senso della libertà di espressione e di democrazia. Non temete allora di ricordare al mondo le parole di qualcuno che conosce molto meglio e ne ha apprezzato l’opera, Marthin Luther King.

“La mia libertà finisce là dove prende inizio la vostra”.

Ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero in modo civile e di ricevere pensieri contrastanti al suo in egual modo. Il 7 gennaio è stato progettato da dei infedeli, criminali, organizzazioni terroristiche che nulla hanno a che fare con il credo. Hanno portato via dalle famiglie ed i loro cari dodici innocenti che avevano il diritto di esprimere il loro pensiero, di fare caricature ed ironizzare su tutto ciò potessero. Ciò non toglie, che quelle vignette erano offensive per voi e per il vostro credo, come lo sono stati per i cattolici ed il papà le precedenti. Non dovreste intimidirvi a sostenere le vostre posizioni. Dovreste invece, spiegare al mondo che nei secoli i mussulmani non hanno mai dato una immagine ad Allah e Muhammad (Maometto) perché lo ritengono offensivo paragonarli e rappresentarli da uomini. E quando vengono raffigurati in una caricatura per voi raggiunge la blasfemia.  Insegnate al mondo che il terrorismo non ha fede. Che la vita d’altri non si può negare. Che la violenza non ammessa nella vostra religione e che l’uomo è subdolo, è operatore del suo male e delle sue paure. E che voi nonostante non condivideste quelle pagine condannate ogni crimine.Perché di questo si tratta.

Di criminali che interpretano il vostro credo e usano il nome del vostro Dio per azioni ripudiati dalla vostra fede.

Agon Italia, da Caprarica alla sede dell’albeggiante canale tv.

Una solita giornata da “giornalista” freelance.

Mi trovo davanti all’ingresso della sede della giovane rete televisiva Agon Channel Italia. Mi avvicino al portone, parlo con la guardia dell’edificio, mi presento e vengo accompagnata all’interno della redazione di Agon Channel Italia che risiede soppalcata a quella madre, albanese.

L’anno scorso ero andata a conoscere i preparativi per il lancio rimanendo colpita dall’entusiasmo che trasmettevano i giovani collaboratori italiani chiamati alla riuscita del progetto. Avendo portato a casa le dichiarazioni del direttore esecutivo Marco Olivieri ( vedi Tirana 1,2,3 in onda Agon Italia) mi soffermai questi mesi ad osservare lo sviluppo di quanto promesso.

Ma, dopo le dichiarazioni di Antonio Caprarica ( ex direttore news di Agon Channel), di come la struttura per la produzione italiana fosse fatiscente, incoerente con l’ambizione del produttore. Di come, secondo l’ex corrispondente Rai, gli operatori fossero sfruttati ed il prodotto finale da presentare al pubblico dello stivale non potesse essere migliorato in condizioni cosi precarie, la curiosità di indagare e capire meglio le sue accuse mi spinse ad accertarmi di quanto lui ha dichiarato e di documentare la realtà lavorativa della sede.

Ebbene sì, la redazione italiana risiede appunto, nell’imponente soppalco ricavato in altezza all’interno di quella fortunata dell’aquila bicipite. Sono una decina di scrivanie comunicanti, come in tutte le redazioni giornalistiche. Quella del direttore a fronte tutti per poter comunicare, riunire e progettare la giornata.

Gli studi a disposizione per la registrazione dei programmi sono solo tre per entrambe le reti. Gli operatori che concorrono allo sviluppo del palinsesto sono gli stessi. Le camere di regia non sono mai vuote ed a fatica incastrano i tempi tra un prodotto riferito al pubblico albanese e quello italiano. I montaggi dei programmi italiani invece avvengono in separata sede. Come dichiarato da Caprarica, all’interno dei contener  sistemati nell’area parcheggio della sede televisiva o meglio delle sedi televisive. Perché è sicuramente vero che tra di loro vi sia una collaborazione/invasione di spazio ma è altrettanto vero che l’una senza l’altra, da quanto me accertato, non potrebbero esistere.

Per la precisione i contener sono insonorizzati, riscaldati e ventilati. Dotati di tutte le apparecchiature necessarie per il montaggio del prodotto finale.

“E’ un esperimento che ha bisogno di prendere le misure,- dice Juli Binjaku, giornalista albanese e colonna di supporto per entrambe le reti,- e nessuno di noi prima poteva conoscere i limiti, le difficoltà e le possibilità di riuscita. E’ facile giudicare prendendo in esempio grandi strutture di televisioni ed affermate italiane e/o albanesi, ma nessuno considera l’ambizione e la grinta che questa nuova rete, soprattutto italiana offre al pubblico e l’opportunità a noi collaboratori di costituire le fondamenta e di solidificarle facendo crescere la struttura e sviluppandoci insieme . E’ una opportunità unica, – continua Juli,- per i giovani giornalisti ed operatori che hanno voglia e capacità di crescere. Siamo tutti alla ricerca del nuovo, ci lamentiamo di continuo di non trovare spazio di sviluppo all’interno di grandi televisioni, di non essere presi in considerazione nelle nostre idee innovative e di essere sottopagati. Ma con Agon, nonostante le difficoltà tipiche di una rete in rodaggio (soprattutto quella italiana) abbiamo dimostrato che si può dare spazio all’innovazione, si può mettere in piedi una rete in corrispondenza e farla crescere stimolando il desiderio e l’ambizione di giovani giornalisti”

Gli operatori, i cameramen, i supporti tecnici li trovi sempre tra le mura della sede in attesa di continui spostamenti sul loco della notizia da cogliere. Sono intercambiabili e professionisti del loro mestiere. La maggior parte di quelli incontrati provengono da altri canali principali dei media televisivi albanesi. Ragazzi e ragazze giovani che riconoscono il bisogno di un allargamento della struttura e di una organizzazione più definita delle due reti ma che ti contagiano con la loro grinta portando l’attenzione su quanto fatto fino ad ora.

Vige un frenetico entusiasmo all’interno delle redazioni. Un via vai di persone comuni, di professionisti ed anche dilettanti di tutte le età che offrono la loro immagine, l’esperienza di vita, di lavoro, la loro formazione culturale e professionale partecipando agli infiniti casting messi in piedi dalla redazione italiana. La ricerca di calciatori, di modelle, di bodyguard e diverse altre figure uniti dal desiderio di offrire il nuovo. Qualcosa che in Italia non si era ancora offerto. E non stupisce infatti, che tutti, soprattutto giovani giornalisti italiani, siano disposti allo spostamento permanente in Albania pur di trovare lo spazio che permetterebbe a loro di mettere in risalto la loro preparazione e le loro facoltà. Ne sono un esempio, Tommaso Mattei e Giorgia Orlandi, giovanni con comprovata esperienza giornalistica, anche internazionale, che hanno lasciato famiglia ( Mattei moglie e figli) per conseguire la loro crescita professionale mettendosi a prova di facoltà a fianco del responsabile della redazione sportiva di Agon Channel al quale, dopo l’abbandono di Caprarica è stato affidato la direzione della redazione News, Giancarlo Padovan, giornalista professionista dal 1982, editorialista, opinionista nonché docente universitario. Nel suo curriculum troviamo anche collaborazioni con il quotidiano “La Repubblica”, “Il corriere della Sera”, “Il Fatto Quotidiano”  ed innumerevoli presenze in autorevoli trasmissioni sportive delle grandi reti italiane.

Visto da fuori, da chi si trova lì solo per documentare, appare tutto molto suggestivo e disorganizzato. Giudicando dal lancio fatto a Milano della rete Agon Italia in tanti hanno immaginato, grazie anche alla presenza di figure come Simona Ventura, che la sede della rete fosse un colosso di immagine. Quella è l’ambizione! Quella è la prospettiva!

Nuovi studi in costruzione che permettano una migliore suddivisione degli spazi tra le omonime reti albanese ed italiana. Nuovi collaboratori chiamati ad offrire la loro preparazione. Una rete logistica in continuo sviluppo, un palinsesto aggiornato, diritti di immagine in trattativa e la costante consapevolezza di poter crescere.

Chiedere oggi, a meno di tre mesi dalla nascita della rete italiana, che Agon sia competitiva ed impeccabile sarebbe non riconoscere il lavoro quotidiano che tutti i giornalisti ed operatori sono chiamati a fare.

Non esiste una pillola magica, niente trucchi e niente miracoli. Esiste la tenacia, la preparazione, l’incentivo che ti porta a migliorare. Osservando le decine di giornalisti italiani concentrati davanti ai loro computer, presi da mille telefonate per cogliere la notizia,organizzando il palinsesto, selezionando le immagini ed i video, si nota come corrono sotto-sopra tra le due redazioni, discutendo con i loro colleghi albanesi su come costruire e migliorare i programmi. Si coglie la loro dedizione e passione per questo progetto che li ha portati oltre mare lasciando famiglia, amici e lavori “fissi”, e dovrebbe insegnarci, aldilà dell’interesse economico di un editore, che l’Italia ha sete di incoraggiamento. Che i costi per la costruzione di una struttura ed il suo mantenimento affaticano e sacrificano la crescita dei nuovi giornalisti.

La maggior parte del pubblico non sa che nello stivale un articolo viene pagato anche solo 5 euro, e tante, troppe volte non viene retribuito affatto. (vedi Vesti da blogger) Il pubblico ignora, e non certo per colpa sua ma per il sistema burocratico, quello tassativo e di favoreggiamento che affligge l’Italia, che tantissimi giovani giornalisti e aspiranti tali all’interno dello stivale non trovano spazio poiché la redazione non si può permettere di pagarli oppure non sono figli di privilegiati.

Si giudica sempre il prodotto finale. La nostra società ce lo ha imposto nel tempo e sempre meno analizziamo il percorso di un prodotto, di una immagine e di un risultato.

Il lavoro di un giornalista, il dare vita ad una rete, la ricerca, l’analisi di un fatto e la certificazione delle fonti, il presentare la notizia al pubblico accolto da uno studio televisivo che trasmetta serietà e ponderazione, non è misurabile e valutabile all’interno dello spazio di una trasmissione televisiva.

Vi è sicuramente bisogno di un allargamento di strutture e di nuove collaborazioni all’interno di Agon. Manca la facoltà di trovarsi sul pezzo con una troupe propria in loco italiano. Sicuramente la logistica chiede accorgimenti, ma Mediaset non nacque quella di oggi, LA7 neanche.

Direi, che per giudicare questo progetto dovremmo aspettare almeno la prossima stagione autunnale quando il quadro delle possibilità e di difficoltà sarà più chiaro. Quando si prenderà atto di ciò che si può fare, che si deve e di ciò a cui bisogna rinunciare.

Per adesso, dopo la mia breve permanenza tra le due redazioni, posso testimoniare la veste di euforia da cui sono pervasi i collaboratori, la chiarezza sull’obbiettivo da raggiungere e gli investimenti in atto per migliorare il lavoro di gruppo.Tutti incentivati sulla crescita professionale e la non meno importante, quella economica.

Italia-Albania: derby di casa mia

Di Marco Pacciotti

Coordinatore Nazionale del Forum Immigrazione PD

“Italia – Albania, derby di casa mia” era scritto a mano su uno striscione esposto a Genova durante l’amichevole fra le rispettive nazionali di calcio.

Una frase semplice e geniale, rivelatrice dello spirito che ha spinto decine di migliaia di nostri concittadini albanesi ad andare allo stadio. E’ stato uno spettacolo nello spettacolo, passato un po in sordina nei media rispetto agli allarmi lanciati invece nei giorni precedenti dopo la partita con la Croazia e memori di quanto avvenuto in precedenza nella partita con la Serbia.

E’ andata molto diversamente ed è giusto ribadirlo e cercare di capirne le ragioni. Eviterei subito quelle “manichee”, per cui esisterebbero popoli buoni e altri meno. Ho la fortuna e il piacere di avere amici provenienti da vari Stati balcanici e di aver viaggiato nei loro Paesi. E sempre ho trovato accoglienza e civiltà, a conferma che le persone e i paesi vanno conosciuti per farsi un’idea. A Genova però qualcosa di staordinario è accaduto e credo che anche la location abbia contribuito. Provo a spiegarmi. Da circa 25 anni la migrazione albanese in Italia ha rappresentato a periodi oggetto di articoli e riflessioni, quasi sempre negativi. I primi articoli, in coincidenza con l’arrivo di barconi strapieni, erano un po’ paternalistici e descrivevano queste persone come un popolo di straccioni in fuga da aiutare con sopportazione. Poi venne la stagione degli albanesi ladri, stupratori e violenti e se ne parlava quindi unicamente in cronaca nera. Da qualche ora invece se ne parla come di angeli spuntati dal nulla. Certo meglio questa di rappresentazione che le altre, ma anche questa è frutto di ignoranza e a pensarci bene… la sorpresa di tanti sul comportamento encomiabile denuncia un pre-giudizio negativo.

Credo invece che andrebbe detto che i 25.000 albanesi allo stadio, non sono spuntati dal nulla, ma fanno in larga parte di una diaspora di oltre 500.000 donne e uomini che vivono e lavorano da anni in Italia, di ragazzi nati e cresciuti qui, che sentono l’Italia come “casa mia” appunto, e pertanto ci vivono con rispetto, affetto e, cosa non trascurabile, producendo ricchezza economica e culturale per tutti noi. Donne e uomini che come noi hanno vissuto con sgomento la tragedia di Genova alluvionata e che forse hanno colto questa occasione per dimostrare gioiosamente la loro doppia appartenenza anche attraverso la presenza, in segno di vicinanza alla rappresentativa nazionale e alla città. Non credo fosse solo voglia di riscatto, di mostrarsi diversi da come per anni si è stati descritti o migliori di altri. Penso da quel che ho visto, letto e ascoltato che sia stato un fatto spontaneo e naturale. Ecco qui credo sia la differenza di quanto accaduto negli spalti e da questo vengano quelle parole sullo striscione. Altre tifoserie vengono da fuori, e pochi cretini che considerano terreno di conquista gli stadi delle squadre avversari ci possono stare. In questo caso invece c’erano migliaia di persone venute a sostenere la loro squadra in quella che consedirano casa loro, e la propria casa si tiene con cura e affetto, insomma “casa dolce casa” è un motto universale e si è ben visto anche questa volta!

Fratelli d’Albania…

Di Paolo Muner
Manco da questo “blog” praticamente dal primo giorno, quello del Giuramento di Darina; e l’occasione che mi ci riporta oggi è di quelle, diremmo, della “stessa serie”, solo che – Darina non me ne voglia – questa è enormemente più “importante”.
Parliamo di calcio? No, di tutt’altro…
FRATELLI D’ALBANIA
Uno dei luoghi comuni – giornalisticamente – più abusati, a proposito dell’”utilizzo”, da parte degli italiani, dei due sommi simboli nazionali (l’Inno e la Bandiera”), ci ricorda come tali valori vengano purtroppo “rispolverati” solo in occasione – ahimè – della partite della nazionale di calcio.
Il che è terribilmente vero.
Sarà frutto di mezzo secolo di lavorio sotterraneo (nemmeno tanto…..) di una certa intellighenzia di parte, sarà che – magari sbagliando – ci portiamo addosso qualche senso di colpa, e qui sarà anche che siamo pure un po’ “fessi”, perché , senza andare molto lontano, abbiamo dei vicini europei che ne hanno combinate ben peggio, e vanno in giro per il mondo, non da oggi, ma da subito dopo la guerra, sempre a “testa alta”, fatto sta che in Italia, quei due simboli, Inno e Bandiera, a volte sembrano orpelli scomodi.
E, tutto sommato, bistrattati: bandiere esposte sulle facciate di edifici pubblici, anche sedi di istituzioni importanti, logori, stinti e strappati e, per quanto riguarda l’inno, va bene se i più (compresi i nostri ex-campioni del mondo super pagati) ne conoscono le prime due strofe (e lasciamo perdere quanto ne conoscano il vero significato); per non parlare del titolo, anzi dei titoli, perché, anche lì , siamo stati capaci di complicarci la vita.
Ma se, per vedere bandiere fiammanti (come quelle di cui parla Enest Koliqi in Tregtar Flamujsh) e sentire cantare l’inno nazionale a squarciagola, bisogna aspettare le partite della nazionale di calcio, le cose non vanno – negli ultimi anni – nemmeno troppo bene.
A meno che……a meno che non ti capiti di essere a Genova, Stadio “Luigi Ferraris”, Lunedì scorso, letteralmente gremito di migliaia di tifosi albanesi.
Si giocava, in amichevole, Italia – Albania, pare fosse addirittura la prima volta che le due nazionali si incontravano, nella pur ultracentenaria storia di rapporti tra i due stati…; dopo l’esecuzione dell’ “Himni i flamurit”, cantato in coro da un popolo intero che – si è visto dal labiale – lo conosceva perfettamente dalla prima all’ultima strofa, è stata la volta dell’”Inno di Mameli” (o Canto degli Italiani). E qui è successo quello che non esiterei a definire un fatto storico: accanto a poche migliaia di italiani, 10/15 mila albanesi lo hanno intonato anch’essi, come fosse la cosa più naturale del mondo, con una differenza, però, che, cantando quell’inno, addobbati di bandiere e simboli tricolori di ogni tipo (compresi tatuaggi sul viso) accanto a quelli – propri – kuq e zi, essi non intendevano manifestare il proprio affetto verso la “squadra del cuore”: quello lo avevano già fatto pochi minuti prima, intonando l’inno albanese.
La loro partecipazione all’inno italiano è stato un vero atto di amore verso l’Italia, perché, come ha felicemente scritto Durim Lika “Gli albanesi d’Italia…..quando sentono l’inno italiano è come una seconda madre che ti ha cresciuto e che ti sta vicino per 20 anni.”
In Italia – che si ricordi – non era mai accaduto qualcosa di simile!

Blog su WordPress.com.

Su ↑